| Le case delle api. I tesori nascosti del Roero
Premessa

Queste costruzioni o “ciabot ” per dirla alla piemontese, sono state realizzate da famiglie benestanti ed inserite in fondi importanti e consistenti. Non si sa bene l’uso quotidiano che avessero queste costruzioni lontane dai centri abitati: è pensabile che fossero adibite a deposito degli attrezzi, oppure al ricovero degli animali, o al ristoro dei contadini, o forse ancora: alla difesa dei fondi dai furti e dai saccheggi.
Tutt’oggi non si hanno conoscenze dettagliate sull’utilizzo ai fini della sicurezza dei fondi, di questi singolari fabbricati. La Storia non ci ha lasciato testimonianze documentali; solamente i racconti appassionati e pregni di suggestione dei vecchi contadini possono dirci qualcosa di più.
La particolarità che rende unici questi Ciabot in Piemonte, e molto probabilmente in Europa, è l’uso apistico degli stessi. In pratica in queste case si è tentato nella seconda metà dell’800 di allevare all’interno di strutture murarie delle “famiglie di api” per la produzione del miele.
Questo tipo di allevamento apistico, come abbiamo detto poc’anzi, è stato un tentativo, non il primo e neppure l’ultimo, di allevare api seguendo le pochissime conoscenze a cui si poteva attingere in materia all’epoca. Come sarà possibile di constatare più avanti nella lettura, queste persone, veri e propri “pionieri” dell’apicoltura professionale, seguivano delle tracce, prendevano degli spunti ed è molto probabile che questi spunti arrivassero da luoghi lontani, per allora lontanissimi quali i Paesi Germanici, in cui l’allevamento apistico ancora oggi è molto simile a quello che si presenta all’interno dei nostri Ciabot.
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E’ indubbio quindi che siamo di fronte a degli avventurieri, persone certamente sensibili che un tempo, come accade ancora oggi, si adoperavano, si ingegnavano e con il loro lavoro e il loro intuito rendevano uniche e magiche queste nostre colline, questo nostro Roero.
La prima di queste costruzioni, il “Ciabot Calorio ” è sito nella valle denominata “Val Diana”, ricca di boschi, da sempre incolta che sfocia nelle rocche di “San Giacomo”. Il secondo ciabot, situato al fondo della salita che da Canale conduce all’abitato di Montà sull’antica via di congiungimento tra i due paesi, è conosciuto come “Ca’ d’Avie “.
Il “Ciabot Calorio”
La famiglia Calorio da lungo tempo benestante annovera tra i suoi membri diversi sacerdoti, segno di grande prestigio e di cultura.
Dettaglio molto rilevante, dal momento che sono proprio alcuni Sacerdoti che agli inizi del secolo scorso hanno giocato un ruolo importante nella diffusione dell’attività apistica nei nostri territori. Con la diffusione dell’apicoltura pratica si cercava di creare un mestiere, una professione, di alleviare in qualche maniera la piaga dell’emigrazione all’epoca molto diffusa.
Nel ciabot Calorio l’allevamento delle api avveniva all’interno di un armadio (vedi figura 2) a muro posto nella stanza al piano superiore, alla quale si accedeva con una scaletta in parte in muratura e parte in legno (vedi figura 1).
Giunti al piano superiore con una plancia di legno robusto si copriva il vano scala e si dava modo di accedere all’apiario. Quest’ultimo si presentava proprio come un armadio a muro adattato e ripartito in sei vani per ricevere altrettanti alveari. L’uscita verso l’esterno per le api, era garantita da una serie di piccoli di fori nel muro (vedi figura 3).
Le arnie al loro interno pur essendo attribuite al modello “Sartori ”, non erano dotate di calotta o melario erano unicamente rappresentate dal nido .
L’adattamento del muro-armadio è di difficile attribuzione, potrebbe attribuirsi al Sig. Calorio Giovanni nato nel 1846, oppure ai suoi figli Calorio Filippo nato nel 1882 o a
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Calorio Don Giuseppe nato nel 1884 sacerdote parroco nel 1909 nella piccola chiesa dei Gianoli, il quale già allora allevava un piccolo apiario probabilmente nella sua casa natale.
La “Cà d’Avie”
Era, questo, sicuramente un luogo di particolare importanza dal momento che prima di effettuare la salita occorreva abbeverare gli animali, verificare che il carico fosse ben sistemato sui carri e il nostro ciabot poteva significare un luogo utile alla sosta in vista della fatica della salita. Spesso venivano aggiunti degli animali (“tachè trana”: terminologia derivante dal dialetto Piemontese, stante ad indicare proprio l’aggiunta del traino) per facilitare il traino dei carri nella salita, la quale oltre ad essere erta, era sovente fangosa e sconnessa.
La casa sita in un’ampia proprietà era utilizzata al pari degli altri ciabot presenti nel nostro territorio, come luogo di riparo degli animali e come ricovero delle attrezzature.
In autunno, nel periodo della vendemmia, il ciabot veniva utilizzato in particolare da Filippo che oltre a fare il sarto di professione si dedicava alla campagna e per meglio difenderla dai frequenti furti vi rimaneva a dormire la notte.
La collocazione geografica di questo apiario è particolarmente felice in quanto da questo punto le api potevano facilmente raggiungere i prati stabili al fondo della valle, i boschi di acacia e di castagno.
La costruzione inoltre è aggraziata da un affresco che indica la presentazione di Gesù a suo cugino Giovanni il Battista e in un angolo una piccola meridiana, che oltre a segnare lo scorrere del tempo indica il passaggio di qualcuno che ha cercato di scrivere un pochino nella storia della nostra terra.
La Ca’ d’Avie di Montà è stata utilizzata sino al 1940 dal Sig. Chiesa Giovanni Battista classe 1920, anno in cui partì militare. Successivamente le api furono vendute ad un apicoltore della di S. Stefano Roero residente in Valle san Lorenzo.
Tecniche di allevamento utilizzate


Note
CIABOT: anticamente chiamati “chiabotti” sono delle piccole costruzioni in muratura con annessa cisterna di raccolta dell’acqua piovana. Servivano al riparo, al ricovero degli uomini e degli animali durante la stagione agricola
ROERO: territorio appartenente alla famiglia Roero in epoca Medioevale. Attualmente territorio comprendente i comuni della sinistra del fiume Tanaro.
CIABOT CALORIO: Toponimo di fantasia, utilizzato dall’autore come accostamento del termine “Ciabot” in quanto tale, e il Cognome “Calorio” indicante il casato di appartenenza dell’immobile.
CA’ D’AVIE: Toponimo di fantasia, utilizzato dall’autore ad indicare, nel dialetto Piemontese, la “casa delle api”.
APIARIO: insieme unitario di alveari.
ALVEARE o ARNIA: insieme della cassetta in legno, delle api e dei favi.
ARNIA SARTORI: tipo di arnia derivante dal modello tedesco “dzierzon” diffusa in Italia alla fine dell’800 dal Prof. Luigi Sartori.
CALOTTA o MELARIO: parte superiore dell’arnia. Costituita da un involucro in legno con all’interno i favi; deputata allo stoccaggio del miele raccolto.
NIDO: parte inferiore dell’arnia contenete i favi deputati all’allevamento della covata e al miele
GIANOLI: piccola Frazione del Comune di Montà, sita sulla strada di collegamento con il Comune di Ferrere.
FAMIGLIE DI API: l’insieme della popolazione e dei favi, comprendente anche le api, l’ape regina e i fuchi.
TELAI O TELAINI: riquadro o telaio appunto, in legno contenenti il favo.
CARLO FUMAGALLI: Professore, inventore di un modello di arnia.
APERTURE DI VOLO: apertura dalla quale fuoriescono le api
INGEGNERE DONATI: inventore di un tipo di porticina volta ad impedire l’accesso nell’alveare ai predatori delle api.
FAVI: contenuti all’interno dei telai o telaini, costituiti in cera e formati dall’accostamento delle cellette esagonali adibite allo stoccaggio del miele o del polline o anche allo svezzamento delle uova.