Storia

Le case delle api – Roero

|  Le case delle api. I tesori nascosti del Roero

di Andrea Cauda

 

Premessa

Nel territorio del Comune di Montà, immerse nei boschi, nascoste nella fitta vegetazione, in posti soleggiati ma selvaggi esistono due piccole case che racchiudono un vecchio segreto. Cà d'AvieQueste costruzioni hanno la caratteristica di essere state costruite con grande attenzione e con molto buon gusto, lo dimostrano alcuni particolari costruttivi quali; affreschi, meridiane, fasce marcapiano, finestre ad oblò, volte e voltini affrescati e paramenti murari da fare invidia alle moderne tecniche di costruzione; senza contare i caminetti adibiti al riscaldamento e alla preparazione delle vivande.
Queste costruzioni o “ciabot ” per dirla alla piemontese, sono state realizzate da famiglie benestanti ed inserite in fondi importanti e consistenti. Non si sa bene l’uso quotidiano che avessero queste costruzioni lontane dai centri abitati: è pensabile che fossero adibite a deposito degli attrezzi, oppure al ricovero degli animali, o al ristoro dei contadini, o forse ancora: alla difesa dei fondi dai furti e dai saccheggi.
Tutt’oggi non si hanno conoscenze dettagliate sull’utilizzo ai fini della sicurezza dei fondi, di questi singolari fabbricati. La Storia non ci ha lasciato testimonianze documentali; solamente i racconti appassionati e pregni di suggestione dei vecchi contadini possono dirci qualcosa di più.
La particolarità che rende unici questi Ciabot in Piemonte, e molto probabilmente in Europa, è l’uso apistico degli stessi. In pratica in queste case si è tentato nella seconda metà dell’800 di allevare all’interno di strutture murarie delle “famiglie di api” per la produzione del miele.
Questo tipo di allevamento apistico, come abbiamo detto poc’anzi, è stato un tentativo, non il primo e neppure l’ultimo, di allevare api seguendo le pochissime conoscenze a cui si poteva attingere in materia all’epoca. Come sarà possibile di constatare più avanti nella lettura, queste persone, veri e propri “pionieri” dell’apicoltura professionale, seguivano delle tracce, prendevano degli spunti ed è molto probabile che questi spunti arrivassero da luoghi lontani, per allora lontanissimi quali i Paesi Germanici, in cui l’allevamento apistico ancora oggi è molto simile a quello che si presenta all’interno dei nostri Ciabot.

Cauda. Case delle api. fig 2
Cauda. Case delle api. fig 1
Cauda. Case delle api. fig 3

E’ indubbio quindi che siamo di fronte a degli avventurieri, persone certamente sensibili che un tempo, come accade ancora oggi, si adoperavano, si ingegnavano e con il loro lavoro e il loro intuito rendevano uniche e magiche queste nostre colline, questo nostro Roero.
La prima di queste costruzioni, il “Ciabot Calorio ” è sito nella valle denominata “Val Diana”, ricca di boschi, da sempre incolta che sfocia nelle rocche di “San Giacomo”. Il secondo ciabot, situato al fondo della salita che da Canale conduce all’abitato di Montà sull’antica via di congiungimento tra i due paesi, è conosciuto come “Ca’ d’Avie “.

Il “Ciabot Calorio”
La famiglia Calorio da lungo tempo benestante annovera tra i suoi membri diversi sacerdoti, segno di grande prestigio e di cultura.
Dettaglio molto rilevante, dal momento che sono proprio alcuni Sacerdoti che agli inizi del secolo scorso hanno giocato un ruolo importante nella diffusione dell’attività apistica nei nostri territori. Con la diffusione dell’apicoltura pratica si cercava di creare un mestiere, una professione, di alleviare in qualche maniera la piaga dell’emigrazione all’epoca molto diffusa.
Nel ciabot Calorio l’allevamento delle api avveniva all’interno di un armadio (vedi figura 2) a muro posto nella stanza al piano superiore, alla quale si accedeva con una scaletta in parte in muratura e parte in legno (vedi figura 1).
Giunti al piano superiore con una plancia di legno robusto si copriva il vano scala e si dava modo di accedere all’apiario. Quest’ultimo si presentava proprio come un armadio a muro adattato e ripartito in sei vani per ricevere altrettanti alveari. L’uscita verso l’esterno per le api, era garantita da una serie di piccoli di fori nel muro (vedi figura 3).
Le arnie al loro interno pur essendo attribuite al modello “Sartori ”, non erano dotate di calotta o melario erano unicamente rappresentate dal nido .
L’adattamento del muro-armadio è di difficile attribuzione, potrebbe attribuirsi al Sig. Calorio Giovanni nato nel 1846, oppure ai suoi figli Calorio Filippo nato nel 1882 o a

Cauda. Case delle api. fig 4
Cauda. Case delle api. fig 5

Calorio Don Giuseppe nato nel 1884 sacerdote parroco nel 1909 nella piccola chiesa dei Gianoli,  il quale già allora allevava un piccolo apiario probabilmente nella sua casa natale.

 

La “Cà d’Avie”

Questa costruzione è situata, come abbiamo già detto, sull’antica via di congiungimento tra l’abitato di Canale e Montà. Anticamente la strada di collegamento tra i due Paesi era denominata “la muntà”, termine dialettale usato per indicare appunto la strada in salita.

Era, questo, sicuramente un luogo di particolare importanza dal momento che prima di effettuare la salita occorreva abbeverare gli animali, verificare che il carico fosse ben sistemato sui carri e il nostro ciabot poteva significare un luogo utile alla sosta in vista della fatica della salita. Spesso venivano aggiunti degli animali (“tachè trana”: terminologia derivante dal dialetto Piemontese, stante ad indicare proprio l’aggiunta del traino) per facilitare il traino dei carri nella salita, la quale oltre ad essere erta, era sovente fangosa e sconnessa.

Si tratta di una casa edificata probabilmente nel 1700 con a fianco un muro di grosse dimensioni costruito in modo da ospitare ben sessantaquattro “famiglie di api ” disposte su tre livelli (vedi figura 5).
Il muro o per essere più precisi l’apiario, è postumo e risale alla seconda metà del 1800, opera dei fratelli: Chiesa Filippo nato nel 1836 e Giovanni Battista nato nel 1850.

La casa sita in un’ampia proprietà era utilizzata al pari degli altri ciabot presenti nel nostro territorio, come luogo di riparo degli animali e come ricovero delle attrezzature.
In autunno, nel periodo della vendemmia, il ciabot veniva utilizzato in particolare da Filippo che oltre a fare il sarto di professione si dedicava alla campagna e per meglio difenderla dai frequenti furti vi rimaneva a dormire la notte.
La collocazione geografica di questo apiario è particolarmente felice in quanto da questo punto le api potevano facilmente raggiungere i prati stabili al fondo della valle, i boschi di acacia e di castagno.
La costruzione inoltre è aggraziata da un affresco che indica la presentazione di Gesù a suo cugino Giovanni il Battista e in un angolo una piccola meridiana, che oltre a segnare lo scorrere del tempo indica il passaggio di qualcuno che ha cercato di scrivere un pochino nella storia della nostra terra.
La Ca’ d’Avie di Montà è stata utilizzata sino al 1940 dal Sig. Chiesa Giovanni Battista classe 1920, anno in cui partì militare. Successivamente le api furono vendute ad un apicoltore della di S. Stefano Roero residente in Valle san Lorenzo.

 

Tecniche di allevamento utilizzate

Le tecniche apistiche utilizzate in entrambi i ciabot sono varie. Nella “ca’ d’avie” si riscontrano diverse tecniche di allevamento: la fila in basso degli alveari era predisposta per accogliere degli alveari in legno del modello Sartori con calotta i quali venivano inseriti in apposite nicchie murate (vedi figura 7). La fila centrale e la superiore sono invece predisposte con nicchie per accogliere i telai o telaini direttamente nel muro. Per sostenere i telaini sono state intonacate le pareti onde poter creare il supporto atto al sostegno degli stessi (vedi figura 8). A chiusura delle nicchie-alveare, nella parete retrostante, veniva utilizzato il “diaframma” cosi chiamato dal professor Sartori consistente in uno sportellino vetrato che veniva chiuso contro i telai. La parte inferiore del diaframma consisteva in un piccolo vano ispezionabile, atto alla pulizia delle esuvie che si depostivano sul fondo dell’alveare. Nella stazione invernale, nei momenti di maggior carestia e freddo, questo sportellino era anche utilizzato per la nutrizione delle famiglie di api. In particolare c’è da costatare come nella fila centrale i primi dieci alveari della fila (in totale 18) hanno una dimensione diversa dagli altri, hanno in altre parole il nido è uguale al melario. Utilizzando una tecnica corrispondente al modello “Carlo Fumagalli “, caratterizzata dal fatto di avere i telai del nido uguali a quelli della calotta, si sperimentava un’altra tecnica di allevamento delle api all’epoca ritenuta valida; in questo caso abbiamo l’utilizzazione di due corpi nido apparentemente non comunicanti tra di loro, senza quindi la presenza del melario. I rimanenti alveari della fila centrale: otto corpi nido con calotta e la rimanente fila superiore formata da 18 arnie, rimarcano fedeli il modello Sartori. A ulteriore conferma delle tecniche utilizzate (vedi figura 8), abbiamo i telai che sono stati trovati nel muro. Quest’ultimi indicano l’uso fedele della tecnica Sartori. Nel corpo nido i primi quattro telai verso l’esterno erano a tutta altezza (nido e melario), i successivi e più arretrati, erano telai da melario (a metà altezza).Cauda. Case delle api. fig 9 Le aperture di volo delle api, sono state ricavate nel muro scavando dall’interno il mattone e fuoriuscendo su di un predellino ricavato con un mattone leggermente agettante (vedi figura 9). L’uscita delle api è convogliata in sei fori ricavati da uno stampo di calce, questa precisione di costruzione permetteva l’uso di un’aletta di chiusura, che nella stagione fredda riparava la famiglia dai venti freddi e dall’introdursi di piccoli predatori. Le alette di chiusura, ritrovate ancora sul posto, erano rispondenti al modello “porticina Donati ” (vedi figura 10). Il prelievo del miele, in entrambi i Ciabot, veniva praticato dalla parte posteriore, asportando il diaframma e ritagliando i favi dentro i telai di legno. Il ciabot Calorio, come abbiamo già anticipato, si presenta con una sola tecnica di allevamento: modello Sartori. Siamo di fronte ad una disposizione un poco differente dell’apiario, ma sostanzialmente identica nel modo di utilizzo. L’estrazione del prodotto finito, la lavorazione delle api, la dislocazione dei telai, il diaframma, tutto riporta alla descrizione della Ca d’Avie; Cauda. Case delle api. fig 10rimane curioso, invece, l’utilizzo del concetto dell’armadio a muro come apiario (vedi figura 1 e 2). Entrambi Ciabot rappresentano sicuramente un tentativo di allevamento razionale delle api nei muri; tecnica sperimentata agli albori dell’apicoltura razionale, dove si sperimentavano tutte le tecniche di allevamento razionali possibili. L’origine della tecnica è da attribuirsi al modello di allevamento indicato dal testo “L’apicoltura in Italia” “manuale tecnico-pratico-industriale”, compilato dal Professore Luigi Sartori e dal Cavaliere A. De Rauschenfels, stampato a Milano nel 1878. Questa tipologia di allevamento apistico, che assomiglia agli apiari nelle casette di legno tutt’ora in uso in Trentino, nel Tirolo, in Slovenia, non ha avuto uno sviluppo pratico in Italia; questi nostri ciabot rappresentano una testimonianza unica del loro questo genere.
 

Note
CIABOT: anticamente chiamati “chiabotti” sono delle piccole costruzioni in muratura con annessa cisterna di raccolta dell’acqua piovana. Servivano al riparo, al ricovero degli uomini e degli animali durante la stagione agricola
ROERO: territorio appartenente alla famiglia Roero in epoca Medioevale. Attualmente territorio comprendente i comuni della sinistra del fiume Tanaro.
CIABOT CALORIO: Toponimo di fantasia, utilizzato dall’autore come accostamento del termine “Ciabot” in quanto tale, e il Cognome “Calorio” indicante il casato di appartenenza dell’immobile.
CA’ D’AVIE: Toponimo di fantasia, utilizzato dall’autore ad indicare, nel dialetto Piemontese, la “casa delle api”.
APIARIO: insieme unitario di alveari.
ALVEARE o ARNIA: insieme della cassetta in legno, delle api e dei favi.
ARNIA SARTORI: tipo di arnia derivante dal modello tedesco “dzierzon” diffusa in Italia alla fine dell’800 dal Prof. Luigi Sartori.
CALOTTA o MELARIO: parte superiore dell’arnia. Costituita da un involucro in legno con all’interno i favi; deputata allo stoccaggio del miele raccolto.
NIDO: parte inferiore dell’arnia contenete i favi deputati all’allevamento della covata e al miele
GIANOLI: piccola Frazione del Comune di Montà, sita sulla strada di collegamento con il Comune di Ferrere.
FAMIGLIE DI API: l’insieme della popolazione e dei favi, comprendente anche le api, l’ape regina e i fuchi.
TELAI O TELAINI: riquadro o telaio appunto, in legno contenenti il favo.
CARLO FUMAGALLI: Professore, inventore di un modello di arnia.
APERTURE DI VOLO: apertura dalla quale fuoriescono le api
INGEGNERE DONATI: inventore di un tipo di porticina volta ad impedire l’accesso nell’alveare ai predatori delle api.
FAVI: contenuti all’interno dei telai o telaini, costituiti in cera e formati dall’accostamento delle cellette esagonali adibite allo stoccaggio del miele o del polline o anche allo svezzamento delle uova.